Il teatro dell’Opera di Londra è imponente: la facciata bianca incombe sulla confusione del mercato di Covent Garden, mentre all’interno i sedili di velluto rosso risaltano fra le decorazioni dorate dei palchi. La vista più bella la sia ha però da uno stretto corridoio nero incredibilmente alto, in cui l’oro e il rosso dell’auditorium da duemila posti sembrano quasi una miniatura che si ingrandisce man mano che ci si avvicina, per apparire infine reale in tutta la sua sontuosa bellezza. Se si cammina invece verso il lato opposto scompare, lasciando spazio a oggetti di scena, busti con costumi, grossi cilindri di legno dove sono impilati decine e decine di tutù rosa pallido. Alla fine del corridoio c’è una porta: varcandola, sotto quattro ritratti di Puccini, incontriamo sir Antonio Pappano.

È stato il più giovane direttore della Royal Opera House di sempre, attualmente lo è anche dell’Accademia di Santa Cecilia e ha condotto alcune tra le più importanti orchestre al mondo, come la New York Philarmonic e i Berliner Philharmoniker. Un lungo percorso professionale il suo, ma la musica l’aveva nel sangue.

I genitori si conosco in Italia: vengono tutti da un minuscolo paesino vicino Benevento, Castelfranco in Miscano, meno di mille abitanti e poche prospettive. La madre va quindi a Londra nel 1957, al seguito di una sorella che già lavorava nel Regno Unito, e il padre la raggiungerà nel 1958. Lì si sposeranno e lì, un anno dopo, nascerà Antonio. Il desiderio del padre è però quello di continuare con la musica, come tenore: prosegue la scuola a Milano e Mantova facendo la spola tra Italia e Regno Unito, mentre la madre fa tre, quattro lavori al giorno per mantenere la famiglia.

Quando Antonio ha sei incomincia a studiare pianoforte. A dieci anni Antonio è tanto bravo da poter aiutare il padre quando lavora insegnante privato di canto. Esce da scuola, corre a prendere l’autobus e raggiunge il padre nello studio, per suonare con lui fino e oltre le nove di sera. Così anche dopo il trasferimento negli Stati Uniti a 14 anni, dove si perfeziona con numerosi e differenti maestri, senza però mai prendere un diploma in nessuna accademia o conservatorio. A 21 anni inizia a collaborare con direttori d’orchestra a Chicago e con la New York City Opera, dopo il trasferimento negli Stati Uniti. Per diventare, infine, direttore d’orchestra lui stesso.

Il suo essere italiano lo avvantaggia nella sua attività. Da una parte la conoscenza della lingua più usata nell’opera gli fa comprendere il ritmo in maniera più intuitiva, immediata. Trova che il canto stesso sia legato strettamente all’italianità e alla comunità italiana in cui ha vissuto. «Cantare è parte della caratteristica italiana. Gli italiani hanno la necessità di cantare, o almeno lo sentono più profondamente», ci dice.

Per Pappano il miglior risultato cui un direttore possa aspirare è quello di ottenere la concordia di tutte le componenti di un’opera, dallo spettacolo con la musica, fino al lavoro di tutti davanti e dietro al palco.

Ricorda la sensazione del suo primo spettacolo, Ariadne auf Naxos di Richard Strauss. L’opera è un ensemble, dove cioè non ci sono protagonisti singoli ma diversi ruoli di uguale importanza. In quell’occasione ebbe l’impressione che questa caratteristica si fosse estesa dai cantanti stessi a tutto lo staff, che lavorava come un tutt’uno inscindibile.

 

— Foto: Antonio Pappano durante prove nella Royal Opera House di Londra.

 


 


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